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Vai a "LA VIA DEI SIMBOLI"

 

Sicuramente l'opera di Jorn Utzon a Sidney può essere vista come un segno lasciato nel tempo e lasciato a segnare una città che viene istantaneamente riconociuta attraverso quel segno. Infatti simbolo deriva dal greco sìmbolon e significa segno, segno di riconoscimento. E questo "fenomeno" come l'autore ci dimostra si ripete ad Amsterdam con il Museo della Scienza di Renzo Piano, ad Hammersmith con l'Arca di Ralph Erskine , fino a Bilbao con il Museo Guggenheim di Frank O. Gehry.
E può essere sicuramente interpretato come un fenomeno dovuto alla Rivoluzione Informatica. L'autore afferma che "l'epoca informatica funziona non più per messaggi assertivi, causa effetto, ma per messaggi metaforici, traslati. Un edificio non è più buono solo se funziona ed è efficiente,insomma se è una macchina, ma deve dire e dare di più". Se parliamo di messaggi, se affermiamo che l'edificio deve dire qualcosa, sicuramente nell'architettura della Rivoluzione Informatica è implicita l'intenzione di comunicare. E a questo proposito vorrei citare Carlos Martì Arìs, il quale nel suo libro intitolato "Le variazioni dell'identità", considera l'intenzione di comunicare e un codice prestabilito come le due condizioni fondamentali affinchè si possa parlare di comunicazione. Sostiene che "un fenomeno comunicativo non può essere oggetto di interpretazione, ma solo e semplicemente, di decodificazione". Quindi ritiene che l'architettura  non sia comunicazione perchè all'architetto non interessa comunicare. "Il suo sforzo si concentra nella costruzione, nella sintassi". Ed inoltre l'architettura può essere oggetto di interpretazione e non semplicemente di decodificazione.
E a questo proposito lo stesso Ralph Erskine afferma di esser contrario alla "ginnastica architettonica ed al simbolismo ad ogni costo" e che "l'esterno è esclusivamente dettato dalle esigenze spaziali dell'interno che hanno reso inevitabile lo sporgersi della facciata. Il risultato è un esterno divertente e stimolante, anche se non era esattamente quello che avevo in mente". Lui parla di risultato, di qualcosa che viene fuori da un procedimento.
E allora sicuramente nell'architettura della Rivoluzione Informatica non c'è un codice prestabilito, che tutti possano comprendere,   ma c'è sicuramente l'intenzione comune di creare un luogo ricco di connessioni, un microcosmo fortemente simbolico in quanto facilmente riconoscibile, ma anche perchè fortemente carico di significati. L'Arca di Ralph Erskine mi rimanda inevitabilmente all'arca di Noè e quindi al concetto di rifugio, una città dentro la città. Ed infatti è un rifugio una città sotto un tetto.
E l'atrio di 33000 mc rimanda alla "piazza" della città medioevale, alla "casbah" dei paesi orientali. I 21 vicoli, nessuno dei quali parallelo all'altro,ricordano, come dice lui stesso, le "calli" veneziane. E allora se a quell'edificio posso dare il nome di Arca non solo perchè a me sembra un'arca, ma perchè l'architetto fa in modo che io osservandolo possa confermare la mia prima impressione , allora sicuramente c'è un'intenzionalità a comunicare, a mandare un messaggio anche se è solo un risultato finale.






Franca Mereu
 
 

Uno schizzo di
Ralph Erskine per l'atrio interno dell'Arca di Hammersmith,1990









Bibliografia:    Carlos Marì Arìs  "Le variazioni dell'identità",   Ed. Città Studi
                    Cristina Donati    "L'Arca: una città sotto un tetto", Controspazio luglio-agosto 1992
 
 

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